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Channel: Iside Fontana – AltraScienza
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Homo

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A spostare la Terra fuori dal centro dell’Universo ci aveva già pensato Keplero: bocciata la fissità, iniziamo ad orbitare intorno al Sole, dentro un sistema solare a sua volta in movimento in un cosmo che gira.

Poi arrivò Darwin e così dovemmo restituire la medaglia d’oro, scendere dal podio ed accontentarci di una posizione periferica. Anzi, il podio è stato smantellato, non ci sono traiettorie lineari su cui correrebbero i partecipanti iscritti alla gara. Chiunque si presenta è ammesso alla corsa, deve solo essere ben equipaggiato perché l’esplorazione sarà avventurosa. Non ci sono mappe per il tragitto, lo si inventa mentre si è in corsa.

Qualcuno scova nicchie confortevoli, si ferma in piazzola, tira su la tenda e lascia correre gli altri. Qualcuno desiste del tutto, qualcuno si adatta alle condizioni di viaggio, il cibo scarseggia, se ne fa una ragione e prova nuovi sapori. Le nascite sono le benvenute, ha preso dai genitori alcuni caratteri di adattabilità poi, si sa, gli adolescenti rivendicano autonomia e tracciano un nuovo percorso.

Nei giochi infiniti di specie che arrivano e se ne vanno, mi pare di scorgere uno zio lontano. Abita in Africa, ma lui non lo sa che si chiama così, il battesimo è successivo. Zio Homo ha già un bel cervello, artigiano ormai raffinato, sa fare utensili e gli piace viaggiare. L’Africa è troppo piccola, meglio spostarsi e mica di poco! Prova ad oriente e verso nord, incontra altri parenti con cui fa chiassose riunioni in famiglia.

La fronte si appiattisce, scopre che gli riesce di aggrottare le sopracciglia, sembra che gli altri della tribù vicina rispondano con favore alla sua faccia che fa le smorfie, piace alle altre … persone? Ma sì, adesso te lo concedo, ormai sei diventato grande, sei Homo e sei Sapiens. Però sei rimasto da solo nel tuo genere e hai capito che la chiave è imparare.

Ancora dentro di me affiorano residui di un che di grossolano, di “primitivo” ci siamo abituati a dire, noi discendenti dall’aria saputella che guardiamo con atteggiamento talvolta sprezzante ai nostri antenati soprattutto se neanderthalensis (ma anche loro erano artisti, adesso lo sappiamo).

La medaglia d’oro in realtà non ci serve, veniamo dalla Terra, emergiamo da quel turbine che chiamiamo vita, da un’effervescenza che non smette di creare.

Per secoli anzi millenni mi hanno raccontato storie di creazione, ma temo di essere caduta in un malinteso. Ho preso alla lettera ciò che invece avrei dovuto ritenere come intuizione. Mi ritrovo occidentale cristiana, mi hanno detto che il libro di Genesi narra l’inizio, ma mi sento a disagio. Siamo sicuri che quegli antichi sapienti ci tenessero tanto a fare la cronaca di eventi nascosti nel tempo remoto di cui non sapevano nulla? Forse il loro intento era un altro.

Lasciamo alla scienza il compito di risalire ai primordi, la corteccia prefrontale che si è evoluta in noi ci ha fatto il regalo di renderci capaci di ragionamenti sofisticati e abbiamo messo in piedi un bel sistema di indagine che diciamo metodo scientifico.

Con questo metodo posso sperare di andare all’inizio, il mio, quello di specie e quello del mondo. Ma poi ho bisogno di origine, di sorgente che zampilla di cui trovo traccia nelle chiazze umide che scopro nel fondo, nel mio profondo; quelle piccole gocce lasciano intendere che dentro di me c’è spazio per Altro-da-me che si fa strada, mi chiama, mi cerca, quell’Altro-da-me che mi fa luce per farmi brillare del suo chiarore riflesso.

Quegli antichi sapienti di Genesi lo avevano intuito e hanno provato a dirmi qualcosa di più su di me a partire dalle loro inquietudini. Che sono anche le mie.

Porto dentro il mio sangue la storia terrestre dello zio lontano, la nostra terrestrità condivisa con tutte le forme di vita: è un legame non rinnegabile, di cui sono fiera, figlia di Terra. Eppure non è tutto qui, Cielo reclama la sua paternità su di me. E gliela riconosco. La mia autocoscienza ascolta la sua voce che mi dice ancora di nuovo chi sono. Mi guida fuori dalla schiavitù dell’Egitto, ma per ora la terra promessa si può solo guardare dalla cima del monte. Prima devo attraversare il deserto, il sole che picchia, l’arsura che incolla la gola. Ma c’è la manna, pane quotidiano che nutre donato da Cielo, c’è il lavoro dell’uomo che sale da Terra. Il deserto è abitato da bestie feroci e da angeli, astuzia e mitezza per navigare questo mondo di cui sento l’appartenenza fin nelle viscere, di cui per vocazione mi faccio custode.

Terra mi chiede accoglienza di ciò che sono, Cielo mi attrae verso orizzonti più larghi, perché io distenda ogni cellula e mi abbandoni al respiro che apre gli alveoli e spalanca i polmoni.

Da questo connubio di fango e di spirito, che si sono promessi fedeltà eterna, io sono vita che crea nuova vita, ogni volta che non rinnego la Terra e mi affido al Cielo.


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